Si intitola “Promises” il lavoro che vede l’inedita collaborazione fra Floating Points, Pharoah Sanders e la London Symphony Orchestra pubblicato da Luaka Bop.
Già in passato erano state realizzate opere in cui larghi ensemble orchestrali incontravano il solismo del jazz, a partire dal Ornette Coleman con “Skies of America” del 1972 e al soundtrack di “Naked Lunch” con Howard Shore del 1992 e ad Alice Coltrane con “Lord of Lords” sempre del 1972 ma l’approccio sospeso e ambientale di “Promises” si rivela unico.
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I due interpreti
L’ottantenne Farrell “Pharoah” Sanders è un tenorsassofonista annoverabile fra i mostri sacri del jazz, ha ricevuto il suo soprannome “egizio” direttamente dal grande maestro Sun Ra e nel 1965 entra a far parte del gruppo di John Coltrane nel momento della sua massima espressione innovativa.
Ha alle spalle una carriera cinquantennale che lo ha visto a fianco ai nomi maggiori del jazz creativo da Carla Bley, Alice Coltrane, Don Cherry, McCoy Tyner, Cedar Walton fino a innovatori e manipolatori sonori come Bill Laswell.
Floating Points
è lo pseudonimo di Sam Shepherd, neuroscienziato, produttore e compositore di Manchester ha al suo attivo quattro album nei quali si è dimostrato attento manipolatore sonoro e sapiente utilizzatore della sintesi modulare. I suoi studi di pianoforte lo hanno avvantaggiato consentendogli di avere controllo sulle soluzioni armoniche e le piccole orchestrazioni sintetiche dei suoi brani.
Promises
“Promises” è una composizione per sassofono, archi, tastiere ed elettronica scritta da Sam Shepherd.
L’opera è stata realizzata in momenti diversi: Phaorah Sanders ha inciso presso gli studi Sargent Recorders di Los Angeles mentre Shepherd e l’orchestra diretta da Sally Herbert hanno registrato agli Air Studios di Londra.
“Promises” malgrado siano presenti gli skip e sia divisa in movimenti è strutturata come una lunga suite ininterrotta di 45 minuti. L’orchestra e l’elettronica tessono una tessitura ambientale sulla quale si muove il sassofono di Sanders.
Shepherd si destreggia fra piano, clavicembalo, celesta, Fender Rhodes, Hammond B3, Therevox e vari sintetizzatori.
La suite si incentra su una cellula armonica arpeggiata di 7 note che funziona da centro modale dello sviluppo improvvisativo del sassofonista.
L’orchestra crea delle fasce sonore dinamiche sulle quali si appoggia il fraseggio di Sanders, il primo movimento è estremamente aereo e sospeso e il sassofonista si muove con grande lirismo.
Il brano si sviluppa per 45 minuti senza soluzione di continuità con sottili linee di sintetizzatori fra le tessiture degli archi, nel quarto movimento Sanders interviene in modo discreto anche con la voce prima di intervenire con il sassofono tenore.
La suite è tenuta insieme proprio dal sassofonista che, malgrado l’età, rivela avere ancora un fraseggio fluido di grande intensità melodica e un suono caldo e avvolgente.
Totalmente assenti protagonismi solistici o ritmiche, “Promises” si spiega con graduale minimalismo e rappresenta un magnifico momento di psichedelia cosmica, dove droni di archi e minuscoli fruscii elettronici riescono ad accompagnare in una cornice inedita una grande tradizione.
Alex “Amptek” Marenga