Inserisco questo articolo scritto da Angelo Aquario di “La Repubblica” perchè dopo averlo letto in diretta radio mi sono piovute un sacco di email che chiedevano lumi, beh io ne so quanto voi, non ho avuto la fortuna di ascoltare questo straordinario ritrovamento quindi a leggere quanto scritto emerge una verità interessantissima, e cioè che tutto quello che era stato teorizzato, scritto, parlato sulla musica modale, sulla musica rock, beh è da riscrivere completamente, la storia si è aggiornata ed è proprio il caso di dire….buonissima lettura!!!!
Prince Faster
Articolo di Repubblica.
Recuperati mille dischi di musica nera delle origini, registrati ben prima dell’avvento del 33 giri William Savory, un appassionato dell’epoca, li aveva raccolti e preservati dal tempo. E ora il figlio li ha scoperti dal nostro inviato ANGELO AQUARO
NEW YORK – La puntina scende piano e il vecchio disco comincia a gracchiare: le voci arrivano da un altro mondo. “Questa dovrebbe andare” dice il deejay Martin Block che ha invitato quei tre mostri sacri a esibirsi al suo show sulla radio WNEW.
È il 1938 e la parola disc jockey l’hanno inventata apposta per lui: prima non esisteva. Solo Martin potrebbe essere capace di mettere davanti allo stesso microfono Louis Armstrong, Fats Waller e Jack Teagarden. I tre giganti non hanno mai suonato insieme – è come se oggi salisssero sullo stesso palco i Rolling Stones e gli U2 – e adesso attaccano quel Blues Jam che resterà nascosto all’universo mondo per 73 lunghissimi anni.
Scratch scratch. Il disco gracchia ma il mago del suono Doug Pomeroy – richiamato per l’impresa dalla pensione – farà miracoli trasferendo su computer quel bendidio. E non solo Louis Armstrong. Da Billie Holiday a Benny Goodman – passando per Cab Calloway e Lester Young – i maestri del jazz riemergono dal passato come non li abbiamo sentiti mai.
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E’ una scoperta sensazionale. E’ l’Arca di Noè del jazz: la musica che per anni un appassionato di nome William Savory ha raccolto per il suo piacere personale. Mille dischi registrati direttamente dalle performance radiofoniche dei campioni dell’epoca. E che solo quattro anni fa, alla morte di Savory, il figlio Eugene ha potuto scovare, nascosti in quelle casse in cui si stavano rovinando per sempre.
E’ come entrare nella macchina del tempo: il direttore del museo del jazz di Harlem, Loren Schoenberg, non usa mezzi termini. E non solo per i nomi raccolti nella collezione. Quei dischi all’epoca erano il massimo dello sviluppo tecnologico. Fino agli anni ’40 il formato che andava per la maggiore era il famoso 78 giri. E le registrazioni in studio non potevano superare i tre minuti di durata. Ma la creatività dei maestri era incontenibile: e le performance alla radio erano una dimostrazione.
Quel matto di Savory era anche uno stregone del suono. E si divertiva a sperimentare con quel nuovo formato che lui stesso, nel dopoguerra, impiegato alla Columbia, avrebbe contribuito a sviluppare: il 33 giri. Così nella sua collezione ha spazio, per esempio, una versione più lunga, ottobre 1939, di quella straordinaria Body and Soul che Coleman Hawkins traformò in una leggenda del jazz. Beh: dice il critico del “New York Times” che le sonorità in cui il sassofonista si spinge – musica più liberata, meno attenta agli schemi – saranno toccate soltanto vent’anni dopo dal grande Miles Davis.
Eccola qui allora l’altra scoperta che ci regala l’Arca di Noè del jazz. Come in tutte le storie del mondo ogni rivoluzione è in realtà un’evoluzione e il jazz certo non ci scappa: i critici da anni raccontano come la rivoluzione be bop (Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Miles Davis) sia nata dalle jam sessions che i musicisti delle grandi band dell’età dello swing improvvisavano fuori dagli studi.
Ma nella raccolta Savory è la prima volta che possiamo ascoltare questa evoluzione: negli show radiofonici i musicisti suonavano più liberamente e il miracolo, oggi, è sotto le nostre orecchie. Perfino il re di quell’età dello swing che per i giovani ribelli era il simbolo della conservazione, Benny Goodman, si esibisce in una Oh Lady Be Good scatenata accompagnata dal fido pianista Teddy Wilson… al clavicembalo: uno strumento che sarebbe stato recuperato dal progressive rock solo 40 anni dopo. E sempre Benny il reazionario ospita nel suo gruppo la primitiva chitarra elettrica di Charlie Christian: che in “Shivers”, 1942, suona preveggentemente rock.
Domanda: perché Savory ha nascosto per tutta la vita il suo tesoro? Qui neppure il figlio riesce a dare una risposta. E rimanda al carattere difficile di quell’appassionato di musica che l’amore per la tecnologia e le tecniche di ascolto portarono, anni dopo, addirittura all’abbraccio con la Cia. Sì, la Cia: la sigla dietro cui, si sa, prima o poi vanno a sbattere tutti i misteri d’America. Magari a ritmo di jazz.
Fa venire in mente il film Fratello, dove vai? dei Cohen, dedicato all’era pionieristica del disco.
Ciao Prince, stavo ancora riflettendo sul discorso “Il Prog non è rock” di ieri sera, prendimi pure per psicopatiico paranoide ma non riesco a staccarmi dal discorso.
Premetto che apprezzo molto te e Terenzio e vi ascolto sempre volentieri come si ascolta un guru/complice spirituale, in cerca di conferme/smentite in campo musicale, in questo caso secondo me un paio di cose vanno dette.
In primo luogo, (ripeto quello che è stato già detto e ridetto da molte parti) la maggior parte degli storici della musica concordano nel definire un “troncone” di partenza con caratteristiche ben precise, che è stato definito “rock”. Nel corso degli anni 60 e 70 cominciano a spuntare da questo tronco numerosi rametti, i cui frutti sono diversi nell’aspetto e nel gusto ma pur sempre un derivato della pianta. Non dimentichiamo che tutto questo avveniva in Inghilterra, per cui i critici musicali inglesi si affrettano a trovare termini, non sempre calzanti, che tra l’altro nel corso degli anni vengono riesaminati e magari ridefinite.
Non devo farvi io lezioni di inglese, ma quando dici “progressive rock”, “progressive” è l’aggettivo che indica un attributo (come in “black cat”, l’attributo è il colore). Il sostantivo è sempre “rock”.
Il rock è come il pane. Ce n’è bianco, integrale, con uvetta. al latte, casareccio, ecc, ma ci sono delle caratteristiche ben precise che ci permettono di riconoscere che si tratta di “pane”. Domani posso inventare un nuovo tipo di pane e voi probabilmente potrete riconoscerlo come membro della categoria.
Se tu mi dici invece che i Genesis sono “pizza”, allora forse dovremmo fare un passo indietro metterci d’accordo su quali sono gli elementi che definiscono il “rock”. Oppure dovreste spiegare perché i Genesis non li considerate rock (che secondo me è un’eresia), che so, sulla base del linguaggio, della struttura delle canzoni o qualcos’altro.
Ma forse il problema è un altro. In Italia si ha il brutto vizio di spostare i significati dei termini stranieri, come succede, ad esempio, nel nuoto dove si parla di “stile rana”, “stile dorso”, “stile crawl”. Ad un certo punto della storia nascono le gare dove il nuotatore è libero di scegliere e le chiamano “stile libero”. Tutti optano per il crawl, che permette di ottenere risultati migliori, ma questo finisce col associare il crawl alla parola “libero”. Addirittura in tempi recenti qualcuno ha tolto “libero” dalla definizione, e ci si sente liberi di dire “oggi ho fatto 4 vasche in stile”. Allora mi prude la lingua per rispondergli “Ca**o, sì, ho capito che per nuotare scegli uno stile MA QUALE ??” Sono uscito fuori dal seminato ma spero di aver reso l’idea.
In Unione Sovietica il “progressive rock” veniva chiamato “art rock” e lo è ancora oggi. Questo a conferma che alla fine è vero che si tratta di etichette, ma è pur vero che per comunicare abbiamo bisogno di termini dal significato chiaro e possibilmente concordato prima. Quando parlando con amici ex-sovietici di musica anni ’70 mi capitava di sentire nominare questo “art-rock” rimanevo lì a riflettere sulla mia ignoranza, così la seconda volta, alla terza ho dovuto interrompere il discorso per chiedere “Scusami, come hai detto? cosa sarebbe questo art-rock?”
Insomma, per tagliare corto sono due le cose: o dobbiamo condividere (forse difetto di ignoranza mia) di nuovo la definizione di rock e capire di cosa stiamo parlando, oppure cerchiamo di ripulire il linguaggio da qualche bruttura che negli anni si è stratificata (tipo dire “progressive” come se si riferisse ad un genere diverso), o ci raccontate (se vi va) perché secondo voi Genesis (o Yes o Van Der Graaf) non li considerate appartenenti alla famiglia “rock”.
Sia chiaro, ascolto questa musica indipendentemente dall’etichetta e dall’opinione dei critici su quale punto nella mappa questaa musica occupa, non è per il nome che li amerei di meno. Così per il jazz, che secondo me resta l’unica incarnazione della vera libertà musicale che il rock portava dentro negli anni ’70, ma questo e tutto un altro discorso magari per un’altra puntata.
E’ un terreno instabile e forse minato, questo dei termini nella musica. Che succede ad esempio quando Steve Vai suona insiema a Mike Stern (vedi ultimo album di Mike)? Non è più jazz ? E’ jazz contaminato? O dobbiamo dire che Steve si è “rammollito” ? O si tratta di un nuovo genere ?
Vi lascio con queste domande per riflettere insieme, sempre in compagnia di grande buona musica. A presto. M.
ciao M e scusa per la risposta in ritardissimo.
non ho mai nascosto la mia idiosincrasia alle etichette anche se talvolta fanno comodo sopratutto quando si parla di musica alla radio semplificano molto i discorsi e danno la possibilità di essere magari piu chiari.
Il motivo della polemica è nata più per gioco che per altro visto che qualcuno parlava di musica rock e parlava dei Genesis dicendoci che noi trasmettevamo folk blues country ma non rock (basta leggere le mie scalette che sono qui pubblicate per capire che il tipo sparava cazzate a palla) e allora per spaccare il capello in quattro come faceva lui ho raccontato la storia dei genesis tutto qui
comunque grazie per la tua lunga e precisa email
Tu parli di Stern o Vai ma dove li collochiamo i Bad Plus !?!?!?! eheheheeheh
faster
Prinz è’ tanto che non ti sento, in quella fascia oraria, in generale la RADIO, non riesco più a sentirla.
Bei tempi quando avevo la macchina, uscivo fisso alle 18 dal lavoro e mi sono trovato più di una volta a fare la strada più trafficata per stare più tempo in tua compagnia. Ora a lavoro niente musica, niente macchina e i bambini non mi permettono di sentire la radio a casa.
Basta divagare, quando ci scrivi, a noi sordi della tua voce, e ci scrivi la storia dei Genesis (dal tuo punto di vista ovvio) la potrei leggere con Selling england … in sottofondo.
Grazie di tutto ciò che fai per me.
grazieeeeeeeeeeee
Princefaster…
[…] something about princefaster[…]…
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