Cinema, Green Zone.

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Paul Greengrass (alla regia) e Matt Damon (a menare le mani) tornano insieme dopo aver fatto coppia negli ultimi due film

di Gabriele “Vasquez” Niola.

della trilogia di Jason Bourne (The Bourne Supremacy e The Bourne Ultimatum), se però dal loro nuovo film vi aspettate “Jason Bourne va in Iraq” non troverete quello che cercate.

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Quello che troverete andando a vedere Green Zone è un film di spionaggio con ambientazione militare ma senza il superuomo della situazione che risolve tutto. Il tenente Miller, protagonista di questa storia, è un militare addestrato come tutti gli altri, che però a differenza di molti suoi colleghi a furia di girare a vuoto senza trovare le armi di distruzione di massa nei luoghi che la CIA gli indica, si fa una domanda: “Ma come è possibile che non le troviamo?”. Da questo interrogativo, tanto semplice quanto funzionale, e dalla voglia di trovare un senso alla guerra cui ha preso parte si scatena il film, un percorso ancora una volta solitario di un uomo alla ricerca della verità (solo in questo quindi simile a Jason Bourne).
Green Zone ha il suo maggior pregio in come riesca a resituire un modo nuovo di guardare al conflitto iracheno. Ancora più dei suoi predecessori Greegrass affronta la Bagdad conquistata puntando sui suoni, sulla tensione delle persone affacciate alle finestre senza vetri di palazzi sventrati, sulla continua presenza di calcinacci per terra, sui passanti che spiano, sulla lingua sconosciuta e sulla guerriglia urbana sempre dietro l’angolo. “Siete convinti che la guerra sia finita e che l’avete vinta voi, ma vi sbagliate. Siamo solo all’inizio” dice ad un certo punto un ex generale dell’esercito di Hussein (noto come il Jack di Fiori, seguendo l’iconografia del mazzo di carte promossa dall’esercito USA) al tenente Miller.
Le armi non si trovano, forse non ci sono mai state, il protagonista non sa la risposta al contrario del pubblico che una volta tanto non deve aspettare la fine del film per conoscere la risposta ma si può godere l’odissea destinata a fallire di un soldato in solitaria. I pezzi grossi non vogliono che si indaghi e il tenente Miller allora si spoglia dell’uniforme e mitra in braccio segue il suo informatore locale nei vicoli della città alla ricerca dell’unico uomo che conosca il segreto dell’ubicazione delle suddette armi. C’è una sequenza iniziale fantastica che si svolge durante un bombardamento e un inseguimento a tre mai visto, e anche se manca quell’azione senza sosta dei film di Bourne qui Greengrass fa qualcosa di più difficile ancora.
Macchina da presa a mano sempre tremolante, frenetica e caotica come è nello stile del regista che per riprodurre il massimo del caos esige il massimo del controllo. Green Zone non è cinema d’impegno, non è cinema geopolitico o d’attualità, è cinema principalmente d’azione che opera una necessaria semplificazione dei fatti reali, dividendo con l’accetta buoni e cattivi e riducendo l’intrigo iracheno alla ricerca di un’unica risposta, per trasformare la Bagdad conquistata in uno scenario da cinema, terreno fertile che renda possibili storie di spionaggio più simili al mito che alla realtà.